Qualche notte fa non riuscivo a dormire pensando al mio piano editoriale, all’argomento di cui scrivere, al cosa dirti di interessante. I pensieri hanno vagato ed ho iniziato a riflettere sulle analogie tra il coaching e la mia vita. A quali aspetti di questa professione sono affini alle mie passioni e a come si rispecchiano fra loro. Ho pensato allo sport, alle gare in mountain-bike, allo sci e a come mi piace ricamare al fare lavoretti con le mani.
Il piacere di sfidarmi
Ho ricordato come non mi piace realizzare maglioni o ricami facili. Essi mi devono portare ad utilizzare il cervello per comprendere la logica dello schema in modo da diventare scorrevole quando lo guardo. La cosa elementare e ripetitiva non mi attrae. Mi devono sfidare.
Questo si collega con le sessioni di coaching che non sono mai semplici e lineari. Stare nel flusso del coachee non è scontato e mi porta a dare tutta me stessa per poterlo supportare al meglio. A volte unisco la padronanza del processo di coaching con la mia conoscenza personale in altre materie. Il coaching richiede un lavoro mentale per collaborare con te cliente, in modo che tu faccia le tue scelte secondo i tuoi valori, in armonia con te stesso ed i tuoi obiettivi.
La mia scelta
Ho scoperto la passione per questa attività dopo aver partecipato ad un corso di coaching desiderato per migliorare me stessa. La vita è strana e ricca di sorprese. Il corso base ha fatto scattare in me un insight, che si è trasformato in consapevolezza: questa è la mia strada del cuore. Ho continuato a studiare e ad esercitarmi. Ho fatto il tirocinio richiesto dall’International Coaching Federation per poter essere ammessa al test ed ottenere la credenziale ACC (Associated Certified Coach), riconosciuta a livello mondiale.
Un paio di anni fa decisi di diventare freelance. Successivamente sono arrivate delle difficoltà familiari che si sono unite alla pandemia. Esse mi hanno portata a rallentare nel mio cammino verso la mia professione e qui si è verificata un’altra similitudine con la mia passione sportiva, l’andare in bicicletta. È come quando vado in salita, se la pendenza aumenta, riduco la velocità oppure scendo dalla bici e cammino, ma continuo. Così ho fatto in questo periodo ho rallentato il ritmo, ma non mi sono fermata.
Un altro aspetto che mi piace di questa professione è il continuare a studiare ed approfondire la materia per essere sempre più efficace ed efficiente nei percorsi di coaching ed offrire un servizio di livello sempre più alto. Per essere una coach a tutto tondo come richiesto dalle nuove competenze dell’International Coaching Federation.
La vulnerabilità
Questo lavoro mi permette di essere vulnerabile. Mia mamma diceva che fare e disfare è tutto un lavorare, quindi quando mi ritrovavo a sbagliare i miei maglioni li disfacevo e li rifacevo.
Mi piace la cosa fatta bene e questo lo riporto anche nel mio lavoro. All’inizio puntavo ad essere impeccabile, poi piano piano ho imparato che l’essere perfezionisti può anche essere controproducente. Nel coaching è efficace essere bravi ed eccellenti. Mi torna spesso in mente un webinar della MCC coach Marcia Reynolds dove disse: di coaching non è mai morto nessuno e una domanda sbagliata in sessione non è un danno irreversibile. Accettare la vulnerabilità permette di riconoscere i propri punti deboli, gli sbagli e avere la possibilità di scegliere come migliorarsi. Questo è un altro aspetto che si rispecchia anche nella mia vita, in quanto non ho mai avuto problemi ad ammettere i miei errori, anzi.
Come persone siamo sempre in evoluzione.
Questo ci permette di continuare a rinnovarci, ad evolverci, ad aprire la propria mente e ad andare oltre i nostri piccoli limiti. A piccoli passi, con piccoli traguardi piano piano si può cambiare per andare avanti. Un altro lato di questa professione che mi attrae e che cerco di applicare quotidianamente.
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